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La via italiana all’innovazione. Intervista ad Andrea Di Benedetto, Presidente del Polo Tecnologico di Navacchio.

Cos’è l’open innovation, e che ruolo può avere nella creazione di una via italiana all’innovazione? Ce ne parla Andrea Di Benedetto, Presidente del Polo Tecnologico di Navacchio, uno dei primi poli tecnologici nati in Italia.

L’open innovation è un concetto sempre più usato e abusato, ma cosa si intende di preciso con questo termine?

Il modo di fare innovazione si è evoluto nel tempo. Verso la fine del secolo scorso ci siamo accorti che l’innovazione va troppo veloce per riuscire ad imbrigliarla: anche le grandi multinazionali americane si resero conto che avere centri di ricerca e sviluppo interni non era il modo più intelligente per fare innovazione, semplicemente perché il mondo era diventato così complesso e interconnesso che non poteva essere più sufficiente cercare di programmare l’innovazione dall’interno.

È con questa consapevolezza che si è cominciato a teorizzare l’open innovation: un nuovo modo di fare innovazione uscendo fuori dai propri confini aziendali. Una collaborazione tra start up, centri di ricerca e imprese, nuove idee e modelli di business che vengono creati da chi l’innovazione la fa e applicati grazie alla sinergia con il mondo dell’impresa. Un modo molto più democratico di fare innovazione, nato per consentire alle grandi aziende di cogliere con tempestività tutte le novità della tecnologia e del mercato, andando al tempo stesso a supportare start up e piccole imprese innovative. Così si è sviluppato l’ecosistema americano delle start up, in cui le grandi imprese aiutavano le piccole a crescere.

L’approccio del Polo Tecnologico di Navacchio

Il territorio toscano ha un’enorme offerta di innovazione: sei università di eccellenza internazionale, importanti centri di ricerca e un ecosistema fatto di aziende e start up che si è sviluppato spontaneamente intorno. Una grande concentrazione di capacità innovativa il cui assorbimento però spesso non è facile: non sempre si riesce a trasformare questa conoscenza e a tradurla in crescita per le imprese del territorio, e dunque in occupazione e benessere.

La sfida che il Polo Tecnologico di Navacchio ha raccolto è quella di contribuire ad aumentare la capacità con cui le imprese possono andare ad assorbire la potenzialità di innovazione che le circonda. La via all’open innovation consiste nel fare capire che l’innovazione per le piccole imprese non deve essere qualcosa di cui avere paura ma costituisce una grande opportunità, e che è molto più semplice per loro coglierla in quanto la loro dimensione le rende naturalmente più dinamiche e capaci di cambiare in fretta per adattarsi alle nuove tecnologie ed esigenze del mercato.

La via italiana all’innovazione

In Italia abbiamo una spesa in ricerca e sviluppo che è molto più bassa rispetto alla media europea, ma una capacità di innovazione tripla, una creatività che appare poco ma c’è, e va convogliata. Per fare ciò serve la collaborazione di tutti, e serve trovare una via italiana all’innovazione che ci contraddistingua.

C’è uno spazio enorme, non presidiato, che è quello della qualità, della bellezza e del benessere, che ci è da sempre congeniale. Quando negli anni sessanta il Made in Italy esplose, quelle aziende furono capaci di inventare interi settori merciologici. Il driver, il trigger più importante per l’innovazione sono le nuove piattaforme culturali di consumo: le persone si abituano a consumare in modo diverso e bisogna essere capaci di intercettare quella domanda. L’Italia ha un enorme potenziale, un Made in Italy che può tornare ad essere quello di cinquant’anni fa non solo attraverso nuove tecnologie e canali digitali, ma anche grazie all’open innovation.

Per concretizzare questa via italiana serve un sistema di alleanze, altrimenti l’innovazione rimane isolata là dove viene pensata. Per puntare su una trasformazione digitale del Made in Italy quindi serve stringere un patto tra soggetti diversi: start up e aziende innovative e aziende più strutturate. Le aziende innovative possono crescere appoggiandosi alla forza commerciale e finanziaria delle aziende più strutturate e queste ultime possono avvalersi delle start up per essere capaci di innovare.

Fare open innovation significa proprio questo: un sistema di alleanze in cui PMI e imprese più grandi vadano a commissionare a start up tecnologie innovative per i loro prodotti, magari acquisendole o finanziandole, in modo da creare un ecosistema finaziario e produttivo. Non è possibile pensare di scimmiottare il modello americano, tipicamente anglosassone e basato su un certo tipo di mercato e su grandi capitali. Serve una strategia win win, una finanza corporate fatta di imprenditori che investono in altre imprese per farle crescere grazie alla propria esperienza e facilità di accesso ai mercati.

L’importanza del time to market

Fra le aziende c’è sempre più consapevolezza ed apertura nei confronti di questi temi, ma il grande problema resta il time to market: le imprese vanno ancora troppo piano, non riescono ad essere tempestive e ad agire in parallelo su più fronti. Con i tempi classici che caratterizzano le nostre aziende il rischio è quello di far arrivare ogni idea troppo tardi. L’open innovation può facilitare molto le cose, contribuendo alla creazione di una via italiana dell’innovazione: una strada originale e coerente con il nostro DNA, che porti alla collaborazione tra soggetti diversi in modo da velocizzare e rendere tempestivo lo sbarco sul mercato dell’innovazione.

Guarda la seconda parte del video:

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